È necessario domandarsi: per chi è l’opera di Eisenman? Per cosa è? Per cosa sta lavorando realmente l’architetto? È molto difficile poter rispondere a questa domanda. Secondo Enric Miralles, la conoscenza dell’opera di Eisenman è utile per pensare. A cominciare dal pensarvi, si può arrivare a un punto in cui ci si interroga sul significato dell’architettura; egli presenta la sua opera con un sillogismo del tipo A=A . “Io volevo fare A (una doppia spirale, una geometria cristallina); io ho fatto A (la doppia spirale etc)” (').
La sua opera si presenta come un’immagine complessa in cui si fondono e si confondono due meccanismi: quello di generazione formale e il risultato di tale processo. Affermando la necessaria libertà di ogni progetto, egli ha rivendicato la libertà individuale come punto di partenza per fare architettura.
La sua architettura funziona realmente solo quando ce ne distanziamo. Lasciando che si muova nella complessità della realtà della quale fa parte, essa comincia, ad agire come una macchina del pensiero. Questa macchina del pensiero è la linea guida di una logica propria della ricerca di Eisenman che corre da una proposta all’altra e permette di non perdersi nel suo labirinto. In ogni sua opera, realizzata o non, esiste una geometria che è estranea alla stanza in cui si trova il visitatore, e persino una geometria che è estranea all’edificio stesso. Gli edifici sembrano essere costruiti a partire da geometrie che non vi corrispondono ma che trovano nel luogo in cui sono collocate una possibilità di esistere.
(') E. Miralles, II, III, IV … IX … etc, in “El Croquis”, numero monografico su Peter Eisenman, 87, 1997, pp. 168-171
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